P.S. Processo Speleografico

“P.S. Processo Speleo-grafico" apre un varco tra l’eredità fotografica del nonno e la storia collettiva della speleologia, miscelando tecniche analogiche e sperimentazioni chimiche. Coniando il termine “Speleo-grafico” – dal greco caverna e scrittura – i sali d’argento della fotografia entrano in relazione con i sali minerali della Terra. La camera oscura diviene così una caverna domestica, un’incubatrice di processi: chimigrammi, cyano-soil, cromatografia del suolo e fotografie sepolte emergono come concrezioni, consentendo di confrontare l’istante fissato sulla pellicola con le lente ere geologiche. In questo equilibrio, l’esistenza umana, rapida e transitoria, si misura con i lenti processi di sedimentazione della roccia.

Il punto di partenza della ricerca è la figura del nonno Luciano che fu ottico e speleologo. Le sue tracce – negativi, appunti, attrezzature – non evocano solo un legame familiare, ma aprono un dialogo verso un cosmo più vasto. Il personale scivola nel collettivo, il collettivo in uno scenario planetario, e ciò che sembrava un affare di memorie private si trasforma in una mappa complessa, dove rocce, creature invisibili e reazioni chimiche illustrano la fragilità del nostro tempo.Addentrandosi nell’oscurità, s’incontra il pipistrello, creatura simbolica e sfuggente, un animale guida con dissolvenze mitologiche. Come un messaggero dall’aldilà, invita a riconsiderare i rapporti tra forme di vita, cicli biologici e stratificazioni millenarie, mettendo in crisi l’antropocentrismo.

“Processo Speleo-grafico” diviene quindi un atto di scavo intellettuale, un’indagine su scale temporali disparate e su realtà oltre che umane. Come un post scriptum finale, il lavoro non offre risposte, ma rilancia domande: siamo pronti a ricalibrare il nostro sguardo, ad adattarlo alle profondità terrestri, a riconoscere che la nostra storia non è che un frammento, un segno tra altri segni, nel vasto respiro del pianeta?Attraverso questa ricerca, ancora in una fase sperimentale, desidero esplorare la fotografia come processo di trasformazione e rivelazione, non solo come strumento di registrazione. Il lavoro, infatti, non si limita a documentare una memoria familiare o a riflettere sul tempo geologico, ma usa la materia stessa – sali d’argento, minerali, suolo – per trasmutare immagini e significati. In questo senso, la fotografia diventa un organismo vivente, capace di evolvere e stratificarsi nel tempo, proprio come le rocce e i sedimenti, ponendo il fruitore di fronte a un’idea più fluida della memoria. 

Vorrei mostrare come la materia trattenga e trasformi le memorie, rendendo visibile un “inconscio”della Terra.

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